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Legge elettorale: la CdL vuole cambiare

Contemporaneamente al progetto di riforma costituzionale un'altra importante modifica legislativa sta cominciando il suo percorso in Parlamento. Nelle ultime settimane sono stati depositati alla Camera due progetti di legge firmati dal deputato di AN Vincenzo Nespoli tesi a modificare l'attuale sistema elettorale. Prima di offrirne un'analisi di merito occorre premettere che la legge elettorale, pur avendo forti affinità con il tema della forma di governo, non costituisce materia costituzionale e la sua modifica è pertanto sottratta alle procedure di garanzia previste dall'art. 138 della Costituzione. In altri termini per apportare modifiche al sistema elettorale non è necessaria la doppia lettura prevista dell'art.138, ma è sufficiente agire mediante le legislazione ordinaria.

La legge elettorale attualmente in vigore, firmata dall'On. Sergio Mattarella, è stata introdotta nel 1993 sulla spinta dell'ondata referendaria che sancì il crollo dei principali partiti di governo dell'epoca e la crisi del sistema proporzionale.
Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, il cosiddetto "Mattarellum" prevede che i suoi 650 seggi vengano assegnati per il 75% (475 seggi) mediante un sistema elettorale maggioritario a turno unico in collegi uninominali e per il 25% (i restanti 155 seggi) con un residuo di sistema proporzionale.
L'Italia risulta quindi divisa in 475 collegi, in cui i nomi dei candidati sono scritti direttamente sulla scheda insieme alle liste che li sostengono. Per gli altri 155 seggi invece i partiti presentano liste composte al massimo da quattro candidati e l'elettore non vota il singolo nome, ma solo il partito, che preventivamente ha stabilito l'ordine della lista, dando la precedenza agli esponenti più rappresentativi. I partiti che superino il 4% dei voti a livello nazionale (circa 1.500.000 di consensi) accedono alla ripartizione dei seggi, che avviene in proporzione alla quantità di voti ottenuti.
Il sistema elettorale attuale prevede quindi un voto alla Camera espresso attraverso due schede: l'una per assegnare la propria preferenza ad uno dei candidati in lizza nel maggioritario e l'altra per sostenere uno dei partiti o delle liste presenti nel proporzionale.
Per quanto riguarda il Senato invece l'elettore ha a disposizione una sola scheda, ma la ripartizione dei seggi avviene in modo simile a quanto previsto per la Camera: dei 315 seggi da assegnare il 75% (232 mandati) è distribuito mediante collegi uninominali a turno unico, mentre il restante 25% si ottiene con un sistema proporzionale calcolato regione per regione.

Il progetto di riforma presentato dall'attuale maggioranza lascia inalterato il sistema elettorale previsto per il Senato, ma apporta rilevanti modifiche tecniche a quello in vigore per la Camera.
Il modello Nespoli (già denominato "Nespolum" dalla stampa nazionale) prevede infatti non più due, ma una sola scheda anche per eleggere i deputati. Il voto espresso a favore di un partito verrebbe così trasferito automaticamente al candidato di collegio collegato, lasciando intatta nella sostanza la distinzione tra seggi assegnati col maggioritario e seggi assegnati col proporzionale, ma rendendo tecnicamente impossibile per l'elettore una diversificazione del voto tra i due sistemi.
Come ha sottolineato Roberto D'Alimonte sul Sole 24 Ore del 27 febbraio una delle ragioni che avrebbe indotto la Casa delle Libertà ad elaborare questa proposta di riforma potrebbe essere ricercata proprio nei timori del voto disgiunto e nella constatazione che una parte degli elettori di centrodestra "vota i partiti della Cdl nella scheda proporzionale ma poi con la scheda maggioritaria, invece di votare il candidato comune della Cdl, vota altri candidati nei collegi". Il progetto di riforma approdato in Parlamento, come detto, risolverebbe questo problema impedendo all'elettore la possibilità di un voto disgiunto.
Ma al di là delle motivazioni all'origine della proposta di legge non mancano critiche di metodo e di merito avanzate dai partiti dell'opposizione e da autorevoli giuristi.
Riguardo al metodo ci si interroga sulla legittimazione, in un sistema ormai bipolare, di una sola parte politica a modificare la legge elettorale in assenza di una maggioranza qualificata. In proposito, a livello internazionale, c'è un unico precedente: il tentativo (peraltro fallito) di riforma del sistema elettorale esperito da Mitterand nel 1986. Ma in quel caso si segnalano due rilevanti differenze: l'introduzione di un sistema proporzionale corretto faceva parte del programma elettorale di Mitterand del 1981, inoltre non mancarono dubbi e contrasti all'interno delle stesse forze di governo, al punto che Michel Rocard, uno dei ministri dell'epoca, si dimise denunciando i rischi che il progetto di riforma avrebbe prodotto rispetto alla tenuta istituzionale del Paese.
Per ciò che attiene invece al merito e ai possibili effetti del modello Nespoli, il senatore Franco Bassanini, dalle colonne del Riformista dell'11 dicembre 2004, ha sottolineato i rischi di ingovernabilità che la riforma potrebbe produrre. Secondo Bassanini, con l'approvazione delle modifiche al sistema elettorale proposte dalla Cdl, diventerebbe molto concreta la possibilità di avere un Senato a netta maggioranza di centrosinistra e una Camera a maggioranza di centrodestra. In una simile situazione l'unica ipotesi di governabilità sarebbe rappresentata dalla costituzione di un governo di grande coalizione, che però non nascerebbe da una libera scelta politica (come fu la Grosse Koalition tedesca), ma dalle circostanze imposte da un'infausta riforma elettorale, con il conseguente fallimento "del progetto di allineare l'Italia ai modelli delle moderne democrazie dell'alternanza".

Paradossalmente, negli ultimi giorni, dubbi e perplessità hanno cominciato a manifestarsi anche nella maggioranza.
I problemi evidenziati, in questo caso, sarebbero principalmente due.
Da un lato il "Nespolum", eliminando la scheda proporzionale, potrebbe produrre una maggiore frammentazione delle candidature nei singoli collegi, incentivando "partitini" e liste locali in cerca di visibilità e privati della spazio del proporzionale a correre da soli nel maggioritario. Ciò riproporrebbe per la Casa delle Libertà il rischio della diaspora dei propri elettori, compensando l'ipotetico vantaggio elettorale prodotto dall'abolizione del voto disgiunto.
La seconda difficoltà sembrerebbe ancora più rilevante. Il modello Nespoli renderebbe sostanzialmente impossibili i cosiddetti patti di desistenza. Con il sistema attuale una forza politica può presentarsi alla Camera con il proprio simbolo e i propri candidati sulla scheda proporzionale, e al contempo può scegliere di fare un accordo tattico con una delle principali coalizioni, senza entrarne a far parte e presentando i propri candidati solo nei collegi uninominali in cui è stato concordato l'appoggio con la coalizione in questione.
La proposta di riforma elettorale, se approvata, renderebbe impraticabile questo genere di accordi. Mancando una scheda proporzionale separata infatti resterebbero possibili per i partiti più piccoli solo due tipi di alleanze: un accordo a tutto campo, che significherebbe una vera e propria alleanza programmatica e il conseguente ingresso in una delle due coalizioni principali, oppure la rinuncia a concorrere per l'assegnazione dei seggi proporzionali limitando la propria presenza politica ai pochi collegi ottenuti sulla base di un accordo elettorale con il centrodestra o con il centrosinistra e pagando dunque un forte prezzo in termini di visibilità.
In concreto il problema per il centrodestra si pone soprattutto per quel che riguarda i futuri rapporti elettorali con Alternativa Sociale. I consensi del partito dell'On. Mussolini si annunciano indispensabili per la Cdl in vista delle politiche del 2006, e se da un lato appare impraticabile l'ipotesi di un'alleanza politica a tutti gli effetti (viste le resistenze dei centristi e di AN), dall'altro sembra improbabile che Alternativa Sociale possa accettare di non comparire con il proprio simbolo in tutti i collegi, rinunciando a "contarsi" nel proporzionale. L'unica soluzione sarebbe quella di optare per accordi meramente elettorali, esattamente quelli che la proposta di riforma renderebbe impraticabili.

Nelle prossime settimane sapremo se queste valutazioni incideranno sulle decisioni della maggioranza. La Cdl potrebbe ritenere sufficiente, per neutralizzare gli effetti del voto disgiunto, la possibilità (già prevista dall'attuale legge elettorale) di affiancare al nome del candidato nell'uninominale fino a cinque simboli dei partiti che lo sostengono. Oppure potrebbe proseguire lungo il cammino intrapreso, offrendo alla valutazione del Capo dello Stato un provvedimento legislativo sul quale l'opposizione e autorevoli studiosi di diritto già avanzano dubbi di legittimità costituzionale.


Davide Pellegrini

 
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