CORRIERE DELLA SERA -
In democrazia la maggioranza ha il diritto di governare ma - spesso si dimentica di dirlo e anche di saperlo - nel rispetto dei diritti delle minoranze. Altrimenti la democrazia si trasforma in un «dispotismo elettivo» e/o in una «tirannide della maggioranza». Questa è stata per due secoli la dottrina dei classici della democrazia. Alla quale -a dispetto dei postclassici in costante e geniale superamento di tutto - io resto affezionato. Ciò premesso i due quesiti di attualità sono: primo, quando si dà «abuso di potere» (governativo) in sede parlamentare e, secondo, quale sia una «maggioranza sufficiente » (per governare).
Nella sua lettera al Corriere del 26 luglio Pier Ferdinando Casini, già presidente della Camera, denunzia con una veemenza che in passato gli era insolita l'esordio «quasi esclusivamente a colpi di fiducia» del governo Prodi come un abuso «letale per il Parlamento » che prefigura un risultato finale di «svuotamento della partecipazione delle Camere alla funzione legislativa attribuita loro dall'articolo 70 della Costituzione». Certo, se Prodi dovesse sempre governare a colpi di fiducia, questo sarebbe un abuso e «uno scacco per il buon funzionamento della democrazia ». Fa però specie che proprio Casini denunzi un'eventualità (per ora è così) di emarginazione del Parlamento che sarebbe diventata la regola se la costituzione di Lorenzago, che Casini ha votato in Parlamento, non fosse stata bocciata dal referendum. Insomma, Casini lamenta quel che lui avrebbe voluto.
Comunque il punto è che il ricorso al voto di fiducia è una funzione di «quanta maggioranza» disponga la maggioranza. Anche il governo Berlusconi ha abusato del ricorso alla fiducia - lo ha usato 46 volte - e l'abuso era davvero tale perché Berlusconi disponeva di una maggioranza più che sufficiente. Invece se il governo Prodi abuserà della fiducia potrà invocare l'attenuante della forza maggiore, e cioè di dover governare con una maggioranza più che insufficiente. Con ciò l'abuso diventa giustificabile. Però il problema resta.
I prodiani si aggrappano al detto di Churchill che per governare basta una maggioranza di due. Forse; ma sicuramente solo in Gran Bretagna. Solo in Gran Bretagna perché lì vige un sistema bipartitico a governo solidamente monopartitico, mentre il nostro è un sistema bipolare di coalizioni oramai insanabilmente frammentate e frantumate. Frantumate anche perché oggi la sinistra massimalista siede al governo rinforzata di tre volte rispetto al 1996. Allora il rapporto tra riformisti ed estremisti era di 90 seggi a 10, mentre oggi è di 73 a 27. Lasciamo dunque stare Churchill e diciamo le cose come stanno: che una maggioranza di due fa ridere, o meglio piangere.
Eppure Prodi non si piega. Strano che non sia sardo. Dichiara con piglio stentoreo che «la miamaggioranza risponde a un disegno politico, e se il mio governo cade si va a rivotare. Chiaro? ». Purtroppo sì, anche perché si tratta di una fissazione ricorrente che mi fa venire in mente gli hegeliani che sostenevano che se il reale non era razionale, allora era la realtà che era in torto. Così Prodi: se i numeri non tornano, hanno torto i numeri. Senonché Prodi è (inconsapevolmente) anche un cattivo hegeliano: perché anche la sua razionalità è irrazionale. Se si torna a votare, come fa Prodi a sapere che vincerà lui? Non lo sa (e non è nemmeno probabile).
E se si torna a votare, possibile che la sinistra, dopo due autoaffondamenti, lo voglia ancora come candidato? Io non lo so; ma nemmeno Prodi lo sa. Dunque, la realtà dovrebbe essere emendata da una razionalità sbagliata. Proprio non ci siamo. Difatti Piero Fassino, esasperato, dichiara che «così non si può andare avanti», e giudiziosamente spiega che un allargamento della maggioranza «non è uno scandalo». Si; ma come, e fino a che punto? Dire «allargare » è come scoperchiare il vaso di Pandora. Il grande centro? Mai (ne convengo anch'io: è solo uno spauracchio). Una grande coalizione alla tedesca? Secondo me è da contemplare perché può creare una maggioranza «efficiente», e cioè che taglia fuori le ali estremiste che paralizzano tutto. Un sistema di maggioranze variabili? È la prassi consolidata di tutti i governi di minoranza, che sono poi un terzo dei governi europei. È troppo pretendere? Allora ci andrebbero «estensioni occasionali », quando capita? Sì e no.
E qui comincia il bizantinismo all'italiana. L'appoggio di un altro partito non è accettabile perché sarebbe cambiare maggioranza, e perciò tradire la volontà degli elettori (non convengo, ma così ci viene raccontato). Invece vanno bene, o sono comunque accettabili, «transfughi isolati», alla spicciolata. Una sublime ipocrisia, perché questi transfughi sono di regola parlamentari «comprati» (in senso traslato, si intende), mentre un partito di opposizione che su uno specifico provvedimento appoggia il governo rientra nella corretta prassi delle maggioranze variabili. E così il nostro balletto delle maggioranze approda all'esito indecoroso di avallare il peggiore trasformismo, il trasformismo dei voltagabbana senza scrupoli né principii.
Riferivo sopra di un Romano Prodi stentoreo e muscolare; ma esiste anche un Prodi cherubinesco e scherzoso per il quale vincere un'elezione per un soffio «è più sexy», e che si descrive così: «Io sono un ciclista, la bici è il mio simbolo; a buona andatura si resta saldi in sella, rallentando si cade». La formula della Scuola di medicina salernitana del X-XI secolo era ambulando solvitur, i malanni si risolvono camminando. Prodi, più moderno, rettifica: pedalando solvitur. Auguri. Ma non lo credo.
Giovanni Sartori
Martedì, 01 agosto 2006
|