Se la Riforma costituzionale approvata dal centrodestra dovesse superare con esito favorevole l'imminente referendum confermativo entrerebbe in vigore a partire dal 2007, e da allora la legge prevede un limite di tre anni per privare le regioni dei trasferimenti statali e dotarle del potere di far fronte alle spese con autonoma capacità fiscale.
Secondo l'Isae, istituto di ricerca del ministero dell'Economia, se ciò dovesse accadere l'ammontare delle spese annuali sostenute dagli enti locali salirebbe a 260 miliardi. I dati di bilancio della simulazione sono del 2003, perciò si tratta di una stima "per difetto".
I costi principali per regioni e comuni deriverebbero dal decentramento in materia di sanità e scuola, considerando che attualmente le spese complessive per il servizio sanitario nazionale ammontano a 90 miliardi di euro e quelle per l'istruzione a 48 miliardi di euro.
Secondo i dati dell'Isae le spese degli enti locali salirebbero dall'attuale 15,1% del Pil al 20,4%, circa il 37% dell'intera spesa della pubblica amministrazione.
I problemi principali dunque sarebbero due: i costi reali della transizione verso un ipotetico decentramento delle spese e le risorse cui regioni e comuni potrebbero attingere per far fronte alle maggiori uscite.
Circa il primo punto si tratta di una questione letteralmente ignorata dal progetto di riforma approvato dal Parlamento, che si limita a elidere un intero capitolo di spesa per poi ascriverlo agli enti locali. Nonostante le lacune lasciate dal legislatore è assai probabile che il trasferimento alle regioni di competenze come quelle in materia scolastica e sanitaria produca, per un periodo più o meno lungo, una parziale duplicazione di uffici e di costi. Basti pensare che le leggi Bassanini hanno causato un aumento dei costi di circa il 15% delle risorse trasferite e che i continui sfondamenti dei limiti di spesa fissati per le regioni in materia sanitaria stanno cominciando a mettere in crisi la teoria secondo la quale la vicinanza dei centri di spesa ai contribuenti produrrebbe minori sprechi.
Riguardo poi alla seconda questione, come si accennava, la riforma prevede la cessazione dei trasferimenti dal livello nazionale entro il 2010, per allora le regioni si autofinanzieranno al 99% e i loro tributi rappresenteranno il 43% dell'intera pressione fiscale su cittadini e imprese.
Ma da dove proverranno le risorse che gli enti locali dovranno utilizzare per coprire le maggiori spese? Quali saranno le imposte locali che i cittadini si vedranno aumentare?
Secondo le previsioni dell'Isae la pressione fiscale locale si moltiplicherà per tre e le imposte dirette e indirette di regioni e comuni saliranno dal 6,7% del Pil al 18,2%.
Tuttavia l'Irpef non potrà essere più di tanto trasferita agli enti locali poiché svolge per lo Stato centrale un'indispensabile funzione perequativa tra i redditi di chi guadagna di più e chi di meno.
Allo stesso modo neanche l'Iva può essere trasferita agli enti locali perché ogni aumento si trasferirebbe sui consumi, rischiando di creare inflazioni diverse.
Infine le imposte sulle rendite finanziarie si trasferirebbero a livello nazionale e le regioni non sarebbero in grado di tassarle.
Restano perciò nella disponibilità di regioni e comuni le imposte sulla casa, come l'Ici, quelle sulle transazioni degli immobili (registro, ipotecaria e catastale), sull'energia elettrica, sul gas metano, mentre meno consigliabili, per la mobilità degli utenti, sarebbero quelle sulla benzina.
Agli enti locali rimarrebbe inoltre la possibile gestione delle imposte su tabacchi, giochi e bolli.
La riforma del titolo V, inopinatamente varata dal centrosinistra alla fine della scorsa legislatura, ha già prodotto una rivoluzione della spesa, nei rapporti tra centro e periferia, mal digerita a tutti i livelli della Pubblica Amministrazione. Ora il progetto di revisione costituzionale voluto dall'attuale maggioranza rischia di assestare un colpo definitivo, sotto il profilo dei conti pubblici (oltre che sotto quello dell'assetto costituzionale), al nostro sistema-paese.
Se la riforma dovesse passare il conto della devolution non si farà attendere.
Anche su questo gli italiani saranno chiamati a riflettere in vista della prossima consultazione referendaria.
Stefano Colasanti
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