CORRIERE DELLA SERA -
Il no della Procura di Milano alla richiesta del generale Nicolò Pollari di sequestrare atti coperti dal segreto di Stato, a suo dire indispensabili per difendersi dall'indagine sul rapimento di Abu Omar, è già scritto in una storica sentenza della Cassazione. È un verdetto importantissimo, perché rappresenta l'unico precedente, in 60 anni di giurisprudenza, su un caso identico: un generale indagato del Sismi che tentava di paralizzare l'accusa sostenendo, appunto, che la sua difesa era coperta dal segreto di Stato. La Suprema corte ha però bocciato la manovra come «semplice espediente difensivo del tutto infondato». E la difesa di Pollari conosce sicuramente questo precedente, non solo perché riguarda la più grave deviazione criminale della storia del Sismi, ma anche perché l'imputato di allora, il generale Pietro Musumeci, era rappresentato in Cassazione dallo stesso avvocato, Franco Coppi, che oggi difende Pollari. L'attuale direttore del Sismi, insomma, non ha inventato niente: sta solo riprovando a usare un vecchio «alibi» di Musumeci.
La strage di Bologna
Il 2 agosto 1980 almeno due terroristi di destra uccidono 85 innocenti con una bomba in stazione. La procura di Bologna indaga subito contro i «neri» italiani, ma il 13 gennaio 1981 una fantomatica «pista estera» sembra contraddire i pm: sul treno Taranto-Milano, fermo proprio a Bologna, vengono scoperti due mitra e otto bombe già innescate, accanto a biglietti aerei intestati a due pretesi terroristi stranieri.
I magistrati però accertano che quell'esplosivo è una «messinscena» orchestrata dai nostri servizi militari per depistare l'inchiesta sulla strage. Sotto processo finiscono i capi del «Super-Sismi»: una «struttura parallela deviata», come la definisce la Cassazione, creata dal bancarottiere Francesco Pazienza e dai più alti gradi del Sismi, tutti piduisti.
Oltre che di questa falsa «operazione terrore sui treni», Musumeci viene accusato di peculato, cioè di aver intascato il miliardo di lire che il Sismi sosteneva di aver speso per scoprire le otto bombe. Condannato in primo e secondo grado, il generale ricorre in Cassazione sostenendo di non essere un ladro, ma di aver versato quei soldi a un informatore, che non può nominare a causa «dell'obbligo di mantenere il segreto di Stato». La Cassazione smonta la tesi di Musumeci, ribattendo che lo scopo del segreto di Stato «è la tutela del testimone suscettibile di essere incriminato per reticenza», mentre «la previsione non è applicabile all'imputato, avendo questi ampia libertà di difendersi anche rifiutandosi di rispondere».
La Cassazione aggiunge che l'alibi del segreto non può neppure rientrare dalla finestra, cioè come limite inaccettabile alla difesa, perché questa «è sancita dalla Costituzione come diritto inviolabile», per cui «l'imputato ha diritto di rendere tutte le dichiarazioni idonee a provare la propria innocenza» anche «violando il segreto di Stato». Ed è con queste motivazioni, depositate l'8 maggio 1987 e da allora mai contraddette, che diventa definitiva la condanna di Musumeci a 3 anni e 11 mesi di reclusione. La stessa Cassazione chiarisce che «il Sismi non aveva nessun confidente da pagare»: l'«inesistente informatore» era «una menzogna» inventata da Musumeci «per frodare i soldi».
Alla luce di questo inquietante precedente, ora la Procura di Milano attende di sapere dallo stesso indagato Pollari quale segreto di Stato, esattamente, possa mai scagionare il Sismi dall'accusa di aver aiutato la Cia a rapire Abu Omar.
Paolo Biondani
Venerdì, 3 novembre 2006
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