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Il vertice di Algeri

Lo scorso 23 marzo, con un discorso del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, si e' concluso ad Algeri il 17/o vertice della Lega Araba.

L'importanza politica del vertice può essere misurata dalla quantità e dalla qualità degli osservatori e degli invitati, fra cui il Segretario dell'Onu Kofi Annan, il responsabile esteri dell'Unione europea Solana, il Primo Ministro spagnolo Zapatero, il Ministro degli esteri francese Barnier, il Vice-Premier italiano Follini e, per la prima volta nella storia della Lega, un rappresentante dell'India. Il Presidente algerino si è assicurato inoltre la presenza delle "prime stelle": il Presidente siriano Bashar Al Assad, il libico Muammar Khadafi, il re del Marocco Mohamed VI e il Presidente egiziano Hosni Mubarak.
Il Presidente russo Putin ha inviato al summit un messaggio in cui ha espresso la sua solidarietà e la disponibilità a collaborare per risolvere le questioni Mediorientale e irachena, ricordando la rilevanza che la Lega Araba ha acquisito nel panorama mondiale a più di cinquant'anni dalla sua fondazione.
Tuttavia si è percepito l'ormai consueto clima di polemiche, più o meno esplicite, caratteristico di questo tipo di riunioni e manifestatosi forse in assenza dei diretti interessati.
Tra gli assenti ricordiamo il giordano Abdallah II, il Principe ereditario saudita, Abdallah Ibn Abdelaziz, e i sovrani del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti e dello Yemen: in definitiva l'intero arco della penisola arabica non ha preso parte al vertice.

Il tema centrale è stato rappresentato dalla questione palestinese, alla luce degli accordi del vertice di Sharm El Sheikh voluto da Mubarak, che è stato affrontato sulla stessa linea del piano di pace approvato al vertice di Beirut tre anni fa (e del tutto ignorato da Sharon), ma discutendone in assenza del Principe ereditario di Riyad Abdullah che, «per motivi di forza maggiore», non ha potuto raggiungere Algeri;tra gli altri temi del vertice si è dibattuto anche sulla recentissima crisi siro-libanese, alla luce della decisione del Presidente Bashar di ritirare le truppe dal Libano nel rispetto della risoluzione 1559, ma in assenza anche in questo caso, del Presidente del Libano Lahoud.

Sul piano diplomatico l'incontro ha giovato ad alcuni stati arabi in particolare. E tra questi c'è in primo luogo proprio l'Algeria. Il Presidente algerino Bouteflika e il re del Marocco Mohammed VI si sono incontrati a margine del summit, per cercare di ripristinare le relazioni da tempo incrinatesi tra i rispettivi paesi.
L'altro vincitore insieme all'Algeria è sicuramente l'Egitto, che si è assicurato il sostegno degli altri stati arabi per avanzare la richiesta di un suo seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Infine i palestinesi: Mahmoud Abbas ha ottenuto il consenso necessario a perseguire la normalizzazione del rapporto con Israele e il ritorno alle frontiere del 5 giugno 1967.

Tra gli altri temi sono stati affrontati la questione irachena e la drammatica situazione della Somalia e del Sudan.
Sull'Iraq il vertice si è chiuso con un appello alla piena sovranità, all'indipendenza e all'unità del paese con la partecipazione di tutte le sue componenti. L'assemblea, alla quale hanno partecipato 13 capi di stato e sovrani (mentre gli altri 9 paesi sono stati rappresentati da ministri e principi), ha adottato la 'dichiarazione di Algeri' che rilancia in particolare l'iniziativa per una pace globale in medioriente, di ispirazione saudita. Il testo e' già stato respinto da Israele.

Ha destato stupore infine la proposta della Giordania: non si è compresa la sua ostinazione nel voler presentare al vertice arabo di Algeri una nuova iniziativa di pace sulla questione israelo-palestinese, tenuto conto che il problema, secondo i rappresentanti dei paesi arabi, non risiede nelle iniziative degli stessi, ma nel rifiuto di Israele di occuparsene.

Si teme che il governo giordano, che si era dimostrato entusiasta dell'iniziativa saudita al vertice di Beirut, non abbia presentato questa proposta spontaneamente, bensì sotto la spinta di precise richieste americane (dato il tipo di modifiche suggerite, la più importante delle quali consiste nel non porre la creazione di uno stato palestinese indipendente ed il ritiro da tutti i territori occupati come condizioni preliminari alla normalizzazione dei rapporti con Israele).

Questo atteggiamento ha destato la sorpresa di molti. Anche in considerazione della delicata situazione geopolitica in cui si trova la Giordania, stretta tra il vulcano in eruzione dell'Iraq e quello siro-libanese, sempre sul punto di esplodere, non dovrebbe essere nell'interesse di Amman proporre iniziative che possano minare la stabilità e i delicati equilibri della zona mediorientale.
Il ministro degli esteri giordano, Hani al-Mulki, ha negato che vi fosse una contraddizione tra la proposta di Amman e quella approvata in Libano tre anni fa.
In ogni caso l'iniziativa è stata bocciata e, alla vigilia del Summit, il re Abdallah ha dato forfait.

Considerando le premesse non è esagerato affermare che la vera sfida del summit sia stata quella di giungere alla sua conclusione. Sfida non da poco se si tiene conto delle forti tensioni esistenti fra diversi stati arabi, come ad esempio fra Giordania e Iraq, fra Arabia Saudita e Libia, e fra molti di questi paesi e la Siria.
Analizzando con obiettività i fatti non si può ignorare che i risultati del vertice rimangono marginali rispetto alle gravi e sostanziali questioni che gli arabi devono ancora affrontare per raggiungere ciò che essi chiamano "l'azione araba comune".


Giulia Calò

 
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