"È cominciato il trasferimento dei feriti del terremoto di Nias in varie città di Sumatra, perché l'unico ospedale della piccola isola indonesiana è andato distrutto e centinaia di persone hanno bisogno di urgenti cure mediche". E' una dichiarazione resa il primo di aprile alla MISNA da monsignor Anicetus Sinaga, arcivescovo ausiliare di Medan, principale città dell'isola di Sumatra.
Nonostante la scarsa attenzione data dai media alla notizia, sull'isola di Nias si continuano a prestare soccorsi ai sopravvissuti al terremoto di 8,7 gradi della scala Richter che lunedì 28 marzo si è verificato al largo di Sumatra. Secondo fonti ufficiali, le vittime potrebbero essere duemila e la maggior parte sarebbe rappresentata da abitanti dell'isola indonesiana.
Sin dall'inizio è parso evidente che il sisma ha provocato i danni maggiori nell'isola di Nias. Il 75% delle abitazioni di Gunung Sitoli, la città principale dell'isola indonesiana, situata davanti alle coste occidentali di Sumatra, è stato distrutto degli effetti del terremoto.
Monsignor Sinaga spiega che diversi organismi umanitari sono accorsi sul posto ma "non riescono concretamente a entrare nelle città colpite perché il terremoto ha devastato le strade; servono piuttosto elicotteri e ancora non ce ne sono a sufficienza".
Alle già problematiche condizioni di soccorso si aggiunge il clima di paura in cui i volontari sono costretti ad operare. Giovedì 31 marzo infatti l'Osservatorio di Hong Kong ha registrato tre nuove scosse a Nias, ed in particolare una di 6,3 gradi della scala Richter, che ha nuovamente allarmato le autorità locali e le squadre di soccorso impegnate, senza elettricità e scavatrici, nel lavoro di ricerca.
Purtroppo la tragedia umanitaria del 28 marzo si aggiunge a quella del post tsunami. Il capo del Comitato di pianificazione nazionale (BAPPENAS), Sri Mulyani Indrawati, ha dichiarato che il terremoto ha reso necessaria un'urgente modifica del programma di ricostruzione previsto. Quasi l'85% delle infrastrutture di Nias e Simeuleu, secondo il ministro delle imprese pubbliche Sugiarto, ha subito gravi danni e tuttora nelle due isole mancano elettricità e acqua corrente e le vie di comunicazione risultano impraticabili a causa delle macerie.
Il programma per la ricostruzione era stato reso pubblico il 26 marzo, poco prima dell'ultimo terremoto, durante la visita ufficiale del vice presidente Jusuf Kalla a Banda Aceh. Esso rappresentava solo "un quadro generale" di come doveva procedere la ricostruzione nell'Aceh e a Nias dopo lo tsunami di dicembre, che in Indonesia ha ucciso quasi 130 mila persone e disperse 90 mila. Le direttive erano: ricostruire il tessuto sociale, ristabilire norme e valori dell'islam, far rinascere l'economia, restaurare edifici e istituzioni pubbliche. Ma molti analisti affermano che il budget statale non riesce a coprire le spese di tale ricostruzione. Il vice ministro dell'Economia, Mahendra Siregar ha chiesto la revisione del bilancio dello stato denunciando l'assenza delle risorse finanziarie necessarie ad attuare il programma di ricostruzione.
La presidenza della Cei (Conferenza episcopale italiana) ha stanziato un milione di euro dai fondi derivanti dall'otto per mille in favore delle popolazioni colpite dal recente sisma. Nell'annunciare lo stanziamento, la Conferenza ha sottolineato che "la Chiesa italiana partecipa al dolore per le numerose vittime del nuovo terremoto che ha colpito alcune regioni del sudest asiatico, e in particolare dell'Indonesia, andando ad aggravare una situazione già difficile a causa dei disastri causati dallo tsunami alla fine di dicembre".
Nell'insicurezza che attanaglia questa tormentata area del pianeta, l'unico dato certo è che in questo caso la temuta ondata di Tsunami, che aveva indotto i governi locali a sollecitare l'evacuazione delle abitazioni, non si è dimostrata disastrosa come quella del 26 dicembre scorso. Come ha detto il direttore dell'Ufficio sismologico giapponese Masahiro Yamamoto: «Il meccanismo del sisma è stato diverso da quello del 26 dicembre scorso. Tanto che sorge il sospetto che non si sia trattato di una scossa di assestamento ma forse di una nuova faglia creatasi nelle vicinanza di quella precedente, circa 150 km a sud est».
La Redazione
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