Domenica 24 aprile, con il giuramento dei nuovi ministri dinanzi al Capo dello Stato, è nato il terzo governo Berlusconi, il secondo di questa legislatura. Tra le novità spiccano: il ritorno di Tremonti (FI) come vicepremier al posto di Follini (UDC), la sostituzione alla Sanità di Sirchia con l'ex governatore del Lazio Storace (AN), l'ingresso di La Malfa (PRI) alle Politiche Comunitarie al posto di Buttiglione (UDC), neoministro della Cultura, la sostituzione alle Attività Produttive di Marzano (FI) con Scajola (FI), la promozione di Stefano Caldoro (Nuovo PSI) all'Attuazione del Programma al posto dello stesso Scajola e quella di Gianfranco Miccichè al nuovo ministero dello Sviluppo e Coesione Territoriale. Un'attenzione particolare merita infine la sostituzione di Gasparri con Landolfi al Ministero delle Comunicazioni per le indiscrezioni che hanno accompagnato la nuova nomina. Il precedente ministro avrebbe infatti rassegnato le proprie dimissioni in polemica con la scelta di Storace, appena sconfitto nel Lazio, come nuovo responsabile della Sanità.
Il terremoto politico prodotto dall'esito delle Regionali, proprio nelle ore in cui l'Unione conquista con amplissimo margine anche il governo della Basilicata, ha portato dunque ad un nuovo governo Berlusconi. L'opposizione parla di un governo-fotocopia, privo della forza politica per soddisfare quella richiesta di discontinuità avanzata dagli elettori ed incapace di darsi i nuovi obiettivi programmatici richiesti da AN e UDC. All'interno della maggioranza in effetti la crisi sembra tutt'altro che superata. Le prime avvisaglie di nuove possibili fibrillazioni si sono avute già a poche ore dal giuramento.
A proposito del ritorno al governo, in un quadro di sostanziale continuità con l'esecutivo precedente, dell'ex ministro dell'Economia Tremonti, il confermato ministro del Welfare Maroni ha dichiarato:"Ora è come se avessimo tre ministri e mezzo della Lega, questa è la vera e propria svolta visto che i due appuntamenti fondamentali del nuovo governo saranno il Dpef e la Finanziaria", quasi a sottolineare che i tentativi di AN e UDC di scalfire il cosiddetto "asse del Nord" all'interno della maggioranza non hanno prodotto alcun risultato apprezzabile.
Il partito di Fini conquista il dicastero della Sanità con Storace, ma in effetti esce dalla crisi logorato dagli scontri interni, soprattutto a causa della brusca uscita dal governo di Gasparri. L'UDC dal canto suo, dopo essere stato il principale artefice della crisi, non ottiene nuovi ministeri e rinuncia al posto di vicepremier per il suo segretario. La sensazione è che ancora una volta il partito di Follini abbia scelto di rinviare il momento dello scontro, rilanciando la sfida sui contenuti programmatici che la maggioranza saprà darsi da qui alla fine della legislatura, come si evince dalla nota diramata dal partito, secondo cui: "Il confronto con l'esecutivo avverrà in Parlamento e verterà non sulla composizione del governo ma sulle scelte innovative che sarà capace di promuovere".
Agli strascichi legati alla nomina dei nuovi ministri, si aggiungono i dissapori causati da dispute antiche e mai del tutto risolte all'interno della Cdl, prima fra tutte la questione della leadership. Finora la successione a Berlusconi appariva una partita riservata a Fini e Casini. Ora la scelta di Tremonti come vicepremier sembra dettata, oltre che dalla volontà di Berlusconi di rafforzare ulteriormente l'asse tra FI e Lega Nord, anche dal tentativo di ostacolare i propri alleati nella corsa a raccogliere la sua eredità politica. Come ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera la scelta di Tremonti "è una mossa preventiva con la quale Berlusconi fa capire di avere intuito la sfida che si sta aprendo nel centrodestra su Palazzo Chigi; e di essere pronto a contrastarla con tutta la forza rimastagli". Del resto l'ipotesi che un Berlusconi politicamente logorato venga sostituito nella corsa alla premiership del 2006 non appare così remota se si considera l'ulteriore variabile delle Riforme Costituzionali, secondo molti il vero terreno di scontro tra Lega da un lato e AN e UDC dall'altro ed una delle principali cause a cui imputare la recente sconfitta della Cdl alle recenti elezioni regionali. Le Riforme stanno proseguendo il loro percorso in Parlamento e potrebbero giungere all'esame finale da parte delle Camere proprio in autunno, quando il Parlamento sarà chiamato ad approvare la nuova Finanziaria. La possibilità che a quel punto il governo entri di nuovo in crisi e che alle politiche del 2006 il centrodestra possa presentarsi con un candidato diverso dall'attuale premier appare a molti osservatori assai più di un'ipotesi ed è ciò che maggiormente preoccupa il leader dell'Unione Romano Prodi.
La tempesta insomma sembra tutt'altro che passata e l'attenzione di maggioranza e opposizione è già rivolta al momento in cui il nuovo governo dovrà presentare alle Camere una Finanziaria che sappia rendere compatibile il rigore chiesto da Bruxelles al nostro Paese con gli obiettivi di programma che l'esecutivo sceglierà di darsi a meno di un anno dalle elezioni.
Lasciando Palazzo Chigi, dopo il primo Consiglio dei Ministri, Berlusconi ha dichiarato: "Il nuovo governo porterà a termine il programma, che anticipa nei suoi contenuti quello della prossima legislatura". In realtà, come il premier aveva già anticipato alle Camere nel momento delle sue dimissioni, accogliendo almeno formalmente le richieste di AN e UDC, i punti programmatici fondamentali del nuovo esecutivo saranno: politiche in favore del Mezzogiorno, sostegno alle imprese e tutela del potere d'acquisto delle famiglie. Ciò che desta perplessità è la possibilità di realizzare un'efficace azione di governo su tematiche così complesse quando mancano solo pochi mesi alla fine del mandato e l'Italia sembra trovarsi nuovamente in una situazione di emergenza per quanto riguarda la gestione dei conti pubblici.
Solo pochi giorni fa il commissario UE Joaquin Almunia ha dichiarato di voler aprire nei confronti del nostro Paese una procedura per "deficit eccessivo", perché il disavanzo italiano mancherebbe dei due requisiti previsti dal nuovo Patto di stabilità per giustificare eventuali sforamenti di bilancio. L'eccesso di spesa infatti non sarebbe né minimo, dovendo arrivare secondo le stime UE a toccare il 3,6%, né temporaneo, se è vero che nel 2006 raggiungerà il 4,6%.
In una situazione di questo tipo il ministro dell'Economia Siniscalco sta pensando all'ipotesi di un decreto legge per correggere l'andamento dei conti pubblici e per anticipare i contenuti della Finanziaria del 2006. Lo stesso Follini ha chiesto l'anticipo del Dpef a maggio e della Finanziaria a luglio per dare un chiaro segno di discontinuità in materia di politica economica. Secondo analisi attendibili qualunque sarà la scelta del governo, per rilanciare un sistema economico depresso come quello italiano servirebbe una manovra finanziaria di circa 35 miliardi di euro. Un intervento così massiccio non è ipotizzabile a questo punto della legislatura e con un Paese economicamente allo stremo. Il ministro Siniscalco si accontenterebbe per questo di una manovra di circa 18 miliardi di euro. Anche in questo caso però, con un debito pubblico al 106 per cento del Pil, non potrà trattarsi di una manovra totalmente espansiva. Realisticamente dovrà essere restrittiva almeno per i due terzi del suo ammontare. Ma come si concilia una simile prospettiva con l'annunciato progetto di riduzione fiscale, recentemente confermato dallo stesso ministro, e che a quanto pare, come nelle previsioni iniziali, si cercherà di perseguire sul doppio binario della riduzione in favore delle persone fisiche (Irpef) e di quella in favore delle imprese (Irap)? Evidentemente i margini di manovra che il nuovo governo avrà a disposizione sono strettissimi, se non del tutto inesistenti, e alla fine si tratterà di fare una scelta, del tutto politica, tra il rigore finanziario invocato da Bruxelles, gli interventi a favore di imprese, famiglie e Mezzogiorno chieste da AN e UDC e la riforma fiscale fortemente voluta dal premier. A quel punto le divisioni interne alla maggioranza fatalmente torneranno ad emergere e le questioni politiche ancora irrisolte dovranno essere affrontate sapendo che, nel caso di una nuova crisi, l'unica soluzione possibile sarà quella del ricorso alle urne.
Davide Pellegrini
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