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I giovani e la precarietà occupazionale

Se Pirandello fosse ancora vivo sarebbe felice di vedere che il suo romanzo "Uno, nessuno e centomila", oggi viene regolarmente applicato a tutti i giovani lavoratori. Un esercito di "nessuno" che per raggiungere una posizione è costretto a impararne centomila. Una classe dirigente che non riesce a scendere sotto i 50 anni e impedisce ai giovani di occuparne qualsiasi posizione. Com'è possibile? Direi che la cultura italiana si è rivelata maestra nello sfruttare i contratti che lasciavano al lavoratore piena libertà in modo da trasformarli in veri e propri contratti dipendenti, costringendo i giovani a adattarsi e subire soprusi e piccoli ricatti aspirando ad un futuro che potrebbe non esistere.

Sembra impossibile scongiurare questo pericolo, sono sempre meno i giovani che riescono ad inserirsi in un ambiente lavorativo e a stabilire solide radici. Spesso vengono additati come colpevoli gli stessi giovani che non hanno voglia di lavorare, cercano ancora il posto fisso o un lavoro che non li costringa a un impegno troppo oneroso. Ma allora serve veramente un santo o i ragazzi devono semplicemente rimboccarsi le maniche e decidere che vogliono lavorare?

Quello che vedo è una migrazione continua dei giovani dal sud al nord alla ricerca di un'occupazione, spesso li vedo sostenere spese folli per seguire master privi di qualsiasi interesse e alla fine trovarsi per strada e dover tornare mesti alle loro case, senza sapere cosa dovranno dire ai loro genitori. Fortunatamente a compensare questa morìa d'occupazione vedo però giovani che s'inventano professioni, creano attività dal nulla e al contempo danno lavoro a tanti coetanei spesso vicini alla rassegnazione... Tristemente vedo centinaia d'immigrati che si adoperano ad occupare posizioni che noi, popolo italiano che ha tra i suoi diritti fondamentali il lavoro, ci rifiutiamo di occupare perché troppo scolarizzati e troppo pieni di noi.

Concludendo mi piace ripensare a quel ragazzo che, deriso perché asfaltava strade, alla sgradevole battuta di un coetaneo circa la meschinità dal posto di lavoro da lui occupato, rispose con un citazione latina rendendo ridicolo quel mediocre impiegato che faceva vanto della propria posizione. Oggi il lavoro è indubbiamente un bene prezioso, ma se permettiamo a chi possiede «la materia prima» di dettare le regole del gioco, allora siamo e saremo un popolo di sconfitti o peggio di disoccupati.


Manuel Re

 
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