Scrive Montagne: "La vita dipende dalla volontà altrui, la morte dalla mia". Ebbene in alcuni casi a decidere della morte altrui è colui che agisce violenza su una persona. Quello che accade a chi è vittima di violenza sessuale è una completa frammentazione dell'Io che ha come conseguenza, nella migliore delle ipotesi, un allontanamento dalla realtà che porta la persona ad arroccarsi in un castello di difese più o meno adattive (come ci insegna il buon caro Freud) e, nella peggiore delle ipotesi ad un latente senso di morte che invade corpo e anima, che le incastra in una morsa che porta alla follia e ad una totale scissione dalla realtà.
Il tanto caro dualismo cartesiano del "Corpo" e dell'"Anima" che ci accompagna da secoli sembra perdere ogni coordinata e ogni senso di esistere di fronte a questa dispersione dell'essere. Il corpo che sin dalla nascita diventa sede dell'identità di ciascuno, trattenendo in ogni fibra, in ogni connessione interna, in ogni poro di tutta la superficie della pelle una specifica memoria, che è in nostro codice di identificazione, il nostro "curriculum vitae", fatta di ogni sensazione che tutti i nostri organi di senso ci possono regalare, perde vita. Il corpo da sede dell'identità diventa sede di Dolore, di quel dolore che lentamente e subdolamente prende forma in un malessere fisico che travalica la semplice "somatizzazione" (di cui i vari Raffaele Morelli così didatticamente espongono nei così noti Talk show di questi nostri tempi), fino a quel dolore che dal corpo arriva all'anima, che del corpo stesso e del suo bagaglio di informazioni e sensazioni si era fino a quel momento nutrita.
Questo è solo un piccolo panorama che si affaccia su una realtà ancora poco scandagliata: la realtà del trauma. Un libro uscito da poco di Judith Hermann (in una collana diretta da Carol Beebe Tarantelli) intitolato Guarire dal trauma? ci propone non a caso l'ennesimo punto interrogativo e, quando questo si presenta, chi non è preso dalla tentazione di rispondere, ciascuno per quanto riguarda il proprio dominio di interesse? Ecco allora entrare in campo psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti di varie correnti di pensiero ad indagare all'interno delle mura della stanza d'analisi ogni possibile aspetto più o meno conscio di che è stato abusato, ecco neuroscienziati che alle prese con topi da laboratorio, vanno alla ricerca di quale neurotrasmettitore si attiva in momenti di forte paura e stress e di quali aree del cervello vengono danneggiate in seguito ad una violenza singola o ad una violenza reiterata nel tempo. Poi ci sono i giudici. Lascio questa categoria per ultima non a caso. Chi viene violentato ha già una persona che ha deciso al suo posto, in un rapporto completamente impari, la gestione del suo corpo e inevitabilmente ha lasciato una traccia in quella "memoria specifica" di cui sopra. Non potrebbe accadere cosa peggiore che ad un individuo non venga riconosciuto un diritto che riguarda la propria identità, l'identità di un corpo che è stato violato, di un corpo che ha fatto sua una società con le sue regole, i suoi diritti i suoi doveri, che è poi la stessa società che personificata nella figura di alcuni giudici rigetta la persona stessa.
Ieri, Febbraio 1999, sentenza numero 1636, secondo i giudici con i jeans lo stupro diventa consenziente, quindi per gli stessi "l'indumento non è sfilabile senza la fattiva collaborazione di chi lo indossa". Tradotto: " Evidentemente non ti sei opposta abbastanza altrimenti non ti avrebbero violentato!".
Oggi, Febbraio 2006, lo stupro di una ragazza minorenne è meno grave se la vittima ha già "avuto rapporti sessuali", i vertici della Corte della Cassazione in questo caso identificano questo come un caso di "minor gravità", dunque i danni sono ritenuti più "lievi" viste le premesse.
Aprile 2006, violenza sessuale su minore, considerata meno grave se "l'ambiente è degradato". Citando solo i casi più eclatanti e vicini alla memoria (premettendo che non sta a me vedere quale iter hanno avuto questa sentenze e quale reazione ci sia stata nel mondo politico, sociale e delle giurisprudenza) quello su cui voglio posare lo sguardo (perché altrettanto facile è distoglierlo da alcune situazioni particolarmente "orticanti") è che queste parole sono state pronunciate, quindi elaborate da una persona che dall'alto delle sue vesti giurisprudenziali dovrebbe tutelare l'individuo in quanto tale e in quanto essere umano che vive in un contesto sociale. E invece quello che accade è l'accumulo di una violenza su un'altra, che si serve a sua volta di un arma di cui tanto (forse troppo) spesso ci si dimentica, che è quella della violenza psicologica che come un tumore invade l'Anima e il Corpo.
Chiara Nicoletti
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