E' di qualche giorno fa la notizia della nomina di un nuovo Vescovo cattolico da parte del governo cinese. Per capire questo fatto a prima vista paradossale bisogna premettere che in Cina ci sono poco più di dieci milioni di cattolici, divisi però tra seguaci della Chiesa di Roma e seguaci di una dottrina, che pur riconoscendo la figura del Papa, viene controllata totalmente dal governo di Pechino.
Certamente i rapporti tra la Santa Sede e i Dirigenti Cinesi non sono mai stati facili, fin dai tempi della rivoluzione di Mao Tse-Tung, quando il Vaticano riconobbe Taiwan, dove si erano rifugiati i nazionalisti cinesi. Tuttavia, c'è da porre l'accento sulla tenacia con la quale, in tutti questi anni, il Governo di Pechino ha contrastato, contenuto, diluito e cercato di controllare la diffusione del verbo evangelico in terra cinese. Quest'accanimento si spiega con un semplice ragionamento: le "rivoluzionare" idee cattoliche, agli occhi dell'intellighenzia cinese, sono sempre state portatrici di grande preoccupazione e hanno rappresentato negli anni un estremo pericolo.
Questi dirigenti, infatti, capirono fin dall'inizio che il messaggio di semplicità della parola di Cristo si sarebbe potuto unire in maniera indissolubile con quella realtà contadina, poverissima, durissima e scandita dalle stagioni agricole. Il messaggio cattolico, probabilmente, sembrava loro compatibile con quel mondo abituato a coltivare una spiritualità molto legata agli elementi naturali. Queste considerazioni hanno sempre spinto Pechino ad intraprendere con il Vaticano quel braccio di ferro che ancora oggi, come abbiamo visto, da i suoi frutti un pò grotteschi.
Ciò che ci preme rilevare in questa sede è il cambiamento delle condizioni di fondo sulle quali si è sempre mosso questo confronto. Infatti, se è vero che le preoccupazioni di cui si facevano portavoce i governanti cinesi erano giustificate in passato e forse fino a dieci anni fa, certamente non lo sono più oggi. Ciò che è cambiato in questi pochi anni e stato il passaggio da un sistema che possiamo definire comunista maoista ad uno nuovo assetto caratterizzato da un'apertura, eccetto per quanto riguarda i diritti umani e le libertà individuali, verso le grandi società occidentali e ancor più nei confronti delle multinazionali, loro espressione. In Cina, a ben vedere, si è verificato il più repentino passaggio dai condizionamenti e le restrizioni tipiche dei sistemi comunisti allo sfruttamento tipico delle società capitalistiche, agevolato dalla assoluta mancanza di libertà sindacali e di leggi in materia di lavoro.
Da qui l'inutilità delle manovre volte a contrastare la Chiesa Cattolica cinese. Il nuovo sistema non sa che farsene delle religioni in generale e di quella cattolica in particole, volto com'è nella realizzazione di una nuova rivoluzione industriale. Il nuovo potere necessita di consumatori il cui spirito sia assolutamente pragmatico e edonistico e quindi laico e che si muova in "un universo tecnicistico e puramente terreno [...] in cui può svolgersi secondo la propria natura il ciclo della produzione e del consumo".
L'assalto delle grandi multinazionali a quello che è definito, con una espressione un po' abusata, "il mercato cinese" appare tanto più violento se si considera la vastità della popolazione cinese: due miliardi di potenziali acquirenti di automobili, televisori, lavatrici, forni a microonde, etc... Quando avranno trasformato ogni cinese in un recettore di pubblicità, difficilmente saranno udibili gli insegnamenti di dolore, purificazione, redenzione, grazia e salvezza tipici della religione Cattolica.
Goran Andreević
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