In relazione ai recenti scandali "telefonici", il Garante della privacy, Francesco Pizzetti, ha posto l'accento sulla necessità di fornire la massima attenzione alla protezione dei dati personali contro il voyeurismo dilagante.
La scorsa estate questo voyeurismo ci ha permesso di conoscere i loschi affari del sig. Fazio e dei vari furbetti. Ci ha permesso di constatare che l'onorevole Fassino era particolarmente interessato, politicamente s'intende, alla creazione di un solidissimo blocco bancario–finanziario di riferimento. Ci ha dato la possibilità di dare ragione al nostro collega dietrologo che ogni giorno ci ripeteva che il calcio è truccato e che i grandi club si comprano gli arbitri. Per non parlare delle ultime vicende, in cui ci è stato svelato il decadimento di un azienda pubblica in cui fino a pochi decenni fa era persino vietato usare nelle trasmissioni il termine "pesce", nonché la pochezza morale di un principe che pochi voti ci hanno tolto dal trono.
È vero che la libertà e segretezza della "corrispondenza" è un principio inviolabile del nostro sistema costituzionale; ma è altrettanto vero che la libertà d'informazione è un principio parimenti inviolabile e che nell'ambito di una valutazione comparatistica è destinato a prevalere, se non altro a fini penalistici, purchè sia sorretto dai criteri della continenza, della pertinenza e della veridicità, secondo note elaborazioni giurisprudenziali.
La divulgazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche è un atto illecito, ma la loro pubblicazione su di un quotidiano costituisce esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato, il diritto di cronaca, la cui garanzia non dovrebbe porsi in dubbio in un sistema democratico. Inoltre, come ha efficacemente fatto notare Gianni Riotta, sul Corriere, è sicuramente brutto spiare dalla serratura, ma nell'attuale vicenda, ciò che risulta ancora più brutto erano le scene che si svolgevano dietro la porta chiusa.
I vari esponenti del Palazzo che ora si affrettano ad inveire contro le barbarie di una divulgazione di comunicazioni riservate che mettono in piazza i molti vizi di personaggi noti, dovrebbero smettere di guardare il dito puntato e volger lo sguardo su ciò che esso indica. E si accorgerebbero di un paese (tutto) che versa in una crisi profonda, la cui società è divisa in due: "c'è chi ha la pistola e chi spala" (e chi spala pur avendo la pistola è un fesso).
Il Presidente della Rai Petruccioli ha, a ragione, detto che il malcostume dilagante presso la sua azienda è penetrato dalla società che ci circonda. Certo che il cavallino di viale Mazzini (e il biscione milanese) hanno contribuito grandemente, con la loro programmazione, allo sviluppo di questo degrado culturale. Adesso, con il passaggio delle consegne al nuovo governo, si spera che la nuova classe dirigente, con gli strumenti che ha a disposizione, fra cui l'azienda pubblica di comunicazione, persegua una quanto mai necessaria opera di rieducazione. Forse l'autorevole proposta del mai abbastanza rimpianto intellettuale friulano di abolizione della programmazione televisiva sarebbe quanto mai opportuna.
Se mi è concesso formulare una proposta un po' meno radicale, basterebbe che la Rai anticipasse il proprio palinsesto notturno di tre/quattro ore. Così potremmo vedere "Fuori orario" alle ore 21.00 (...certo Ghezzi dovrebbe cambiare la sigla, perché "Because the night" non avrebbe più senso), le commedie di Albertazzi e Fò durante l'ora di cena, gli approfondimenti notturni di Rai Uno al posto di insulsi giochi a premi. Magari Mediaset (speriamo dimagrita entro breve) vedrebbe che "funziona" e si adeguerebbe. In luogo di noiosissimi programmi voyeuristici o di fiction-fotoromanzo, potremmo assistere a programmi aventi il fine di promuovere il livello culturale degli utenti televisivi, piuttosto che occuparne il tempo libero. Ciò produrrebbe due effetti: renderebbe meno dipendenti dal piccolo schermo alcuni spettatori annoiati (poco male, no?) e stimolerebbe le corde di un interesse che la TV generalista, chissà perché, ha escluso che la grande massa possa possedere.
"Signor Presidente, ma programmi come questo soddisfano la sete culturale del paese?"
("Giger e Fred" di Federico Fellini)
Roberto Savelli
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