Il primo atto del neonato governo Prodi, ormai più di sei mesi fa, fu il decreto Bersani, detto delle liberalizzazioni. Con tale decreto si andò a colpire una serie di categorie professionali, tra cui gli avvocati, i farmacisti, i panettieri e non ultimi i tassisti. Scopo dichiarato del provvedimento era quello di promuovere la soppressione di una serie di privilegi che, presenti nelle suddette attività, contrastavano con il libero mercato.
A questo proposito si può fare la considerazione che il decreto subì una battuta d'arresto proprio ad opera dei tassisti, soprattutto romani, il quali misero in atto una serie di manifestazione e proteste vibranti, ottenendo lo stralcio parziale del provvedimento.
Lo scopo effettivo del decreto, per la parte riguardante i tassì, era quello di fornire alle amministrazioni comunali, delle grandi città, strumenti adatti ad assegnare un maggior numero di licenze, rispetto al passato, quando la procedura era vincolata dalla necessità di una contrattazione con i sindacati.
Il Comune di Roma era fra quelle amministrazioni che, maggiormente, sentivano l'esigenza dell'aumento delle auto pubbliche, a fronte delle necessità della popolazione e in relazione alla copertura del territorio. Per quanto riguarda il primo punto, è necessario dire, che quando si parla delle necessità della popolazione, non si fa riferimento a tutti coloro, che oggi, a Roma usufruiscono del servizio di trasporto pubblico. Infatti, la parte della popolazione che abitualmente prende il taxi, rappresenta una piccola parte dei tre milioni di romani. La particolarità sta nel fatto che i clienti abituali del servizio taxi sono, per la maggior parte, liberi professionisti, imprenditori, dipendenti di aziende private, e non ultimi giornalisti, come il signor Curzio Maltese, che su il Venerdì di Repubblica del 12 gennaio scorso, afferma l'inutilità del decreto Bersani, perché ancora oggi, quando viene a Roma, non trova un tassì prima di una decina di minuti di attesa. Senza pensare che i comuni utenti aspettano, alle pensiline urbane, gli autobus per tempi molto più lunghi, e che i mezzi Cotral sono bloccati nello stesso traffico in cui si trovano i Taxi. Contrariamente a quanto dice il su citato giornalista di Repubblica, poi, chi gira per la città in questi giorni vedrà posteggi, specie in centro, stracolmi di macchine bianche.
Tutto questo grazie al Comune che ha rivoluzionato la turnazione, sostituendo ai quattro turni originari di circa otto ore, ben sei turni che vanno dalle 8 alle 10 ore e alle 12 con i turni integrativi. I turni sono studiati in modo tale da sovrapporsi, determinando la presenza in strada di moltissime autovetture. In sintesi il Comune della Capitale ha scoperto che non servivano più licenze, bastava far lavorare quelle che c'erano tutte insieme.
Come si può immaginare, il lavoro è diminuito e la copertura delle zone periferiche della città non c'è stata. A questo proposito c'e da domandarsi se sia corretto da parte dell'amministrazione comunale, pensare di risolvere i problemi di comunicazione delle periferie, con il servizio taxi. Sarebbe, infatti, più opportuno portare prima i servizi di linea dove non ci sono o dove sono scarsi e magari estendere, non solo in centro, la linea della metropolitana.
Il lavoro per i tassisti romani è diminuito. Il malcontento è evidente. I tassisti non sono "...una corporazione protetta e autarchica, che blocca lo sviluppo del paese...", sono lavoratori, che forniscono un servizio pubblico. Presto ci saranno rappresaglie sindacali per l'aumento, inevitabile, della tariffa, cosa che non porterà benefici ai consumatori.
Affamare una categoria di lavoratori non è prudente. I tassisti romani, probabilmente, non faranno mai la rivoluzione, perché sono quasi tutti padri di famiglia e hanno un mutuo sulle spalle, ma chi governa deve considerare che le rivoluzioni storicamente, nascono dalla miseria. E se parlare di liberalizzazioni significa mortificare un mercato rendendolo campo di una guerra tra poveri, allora forse si tratta della strada sbagliata. Inoltre, si dovrebbe parlare della liberazione di altri mercati, non toccati dal decreto Bersani, come quello della telefonia mobile o quello delle televisioni nazionali, e perché no, quello dei giornalisti.
Goran Andreevic
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