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Libri: Lettera a mia figlia che vuole portare il velo |
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Questo il titolo di un recente libricino scritto da Leila Djitli, giornalista francese di origini algerine, e pubblicato in Italia dalla casa editrice Piemme.
Il testo, definito programmaticamente dall'autrice come una "docu-fiction", é esattamente ciò che il titolo promette; tra i suoi molti pregi spiccano indubbiamente il linguaggio semplice ma sempre ragionato, la flessibilità delle vedute ed il tono pacato e lontano dai facili slogan o sensazionalismi che ultimamente troppo spesso si accompagnano ad ogni discussione che sfiori tematiche connesse all'islam.
Si tratta di un libro che ha il coraggio di mettere in luce ciò che di solito rimane in ombra, di svelare appunto (tanto per sfruttare metaforicamente un velo che va riportato in ogni caso nella sfera del simbolo per poterne comprendere la problematicità) le realtà molteplici e sotterranee della società francese contemporanea; il discorso da religioso diventa morale ed infine sociale mentre lo sguardo dell'autrice/madre si allarga, passando dall'interno degli spazi privati delle case agli avvenimenti di strada.
Non solo. Se il punto di partenza è costituito da un'analisi acuta ed intelligente dei fenomeni socioculturali del momento, sempre viva nell'argomentazione della lettera è l'attenzione alle cause che li determinano; dalla società si risale alla storia.
La parentesi storica viene portata avanti con onestà intellettuale, ed affonda lo sguardo in quel punto morto solitamente definito con il termine piuttosto generico "decolonizzazione"; per quanto decentrate rispetto alla tematica principale del libro rimangono importantissime le pagine che descrivono gli avvenimenti che precedettero in Francia gli accordi di Evian e la conseguente indipendenza dell'Algeria.
Nelle parole di Aicha alla figlia Nawel convivono un forte spirito religioso e la convinzione del carattere intimo e privato della fede, l'attaccamento alle origini ma anche alla cultura della Francia, cui non vengono risparmiate accorate denunce; si avverte in ogni pagina non tanto un astratto principio di tolleranza quanto un effettivo elogio della diversità e varietà come valori della realtà umana.
Un'immaginaria ma possibile lettera privata diventa in questo modo uno specchio in cui leggere le tendenze contrastanti di un momento storico confuso; un monito dal tono dimesso contro gli estremismi, ma anche contro le estremizzazioni.
Fabia Scali-Warner
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