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Cinema: La Caduta

Due premesse sono forse necessarie prima di parlare di un film così discusso: non è un film apologetico; non è un film retorico.
Molti hanno trattato ampiamente e con giusta documentazione gli orrori del nazismo; pochi hanno osato parlare in maniera così aperta della personalità e della vita privata del dittatore che è riuscito a stregare una nazione con il suo folle carisma.
La caduta di Berlino è tratteggiata nei suoi aspetti più crudi; i quartieri sventrati dai bombardamenti e dall'artiglieria, i bambini della gioventù hitleriana che combattevano nelle strade contro i carri armati sovietici, le squadre della morte pronte a linciare i cosiddetti disertori che si rifutavano di combattere, gli ospedali ormai privi di medicinali e bende.

Ma tutto ciò, per quanto orribile, non è nulla di nuovo. Il cinema contemporaneo ci ha abituato a lacrime, sudore e sangue. A dire il vero ci ha abituato anche a veder rappresentata la follia, nei suoi abissi più reconditi; la figura del pazzo è ormai quasi un topos del genere thriller.
Eppure se la follia può essere esorcizzata dalla sua rappresentazione in un contesto immaginario (e si sa che il lieto fine è un altro topos del thriller o del giallo) non può accadere la stessa cosa quando la pazzia diventa collettiva, ed appartiene ad un passato troppo recente per essere dimenticata.

La Caduta è un film che ha avuto il coraggio di osservare la storia senza effettuare quel procedimento di rimozione psicologica che spesso si accompagna allo studio approfondito dell'ascesa del nazismo e delle sue cause. L'orrore provocato da Hitler è stato tale che ben pochi finora avevano osato ritrarlo per quello che purtroppo era: un uomo.
Un uomo assolutamente folle, paranoico, violento e dissociato. Ma un uomo, non un mostro. Così come erano persone quanti lo hanno seguito nella sua follia, chi solo per un certo tempo, chi fino alla fine. Non è una realtà gradevole da accettare; eppure è una realtà.

Se il film quindi mostra in alcuni tratti un dittatore affabile con la segretaria (Traudl Junge, autrice di un libro a cui si ispirano diversi tratti della pellicola), amabile con i bambini di Goebbels e con il suo cane, questo non sta assolutamente ad indicare che stia proponendo un'immagine revisionista di Hitler, anzi, non fa che sottolineare i tratti palesemente schizoidi e dissociati del suo carattere.
E ciò che veramente inquieta della Caduta non è tanto la figura del dittatore folle, nonostante l'intensa, riuscitissima interpretazione di Bruno Ganz; no, a fare paura sono quanti lo hanno seguito. A fare paura è Magda Goebbels che avvelena i suoi sei figli per non farli vivere in un mondo senza Nazional-Socialismo; a far paura è la dissociazione di molti ufficiali dell'esercito tedesco e delle SS che pur consapevoli dell'assurdità delle posizioni del dittatore si sentivano tenuti ad obbedire ai suoi ordini, spinti da un senso di lealtà assolutamente fideistico.
Fa paura la coerenza di una follia a tratti lucidissima; fa paura l'idea di come possa essere pericoloso il carisma e contagiosa la pazzia, se uomini, donne e bambini sono stati disposti a gettare via quanto avevano di più caro in nome di un ideale tanto fumoso quanto aberrante.

E' ufficialmente riconosciuto dagli storici che molti sono stati i motivi politici e sociali che hanno portato all'ascesa del nazismo: molto più difficile da spiegare è l'adesione a tali principi nel momento in cui si erano dimostrati assolutamente fallimentari.

Se dunque la Caduta è un film che ha sconcertato, le cause a mio avviso sono da ricercarsi non in un suo supposto revisionismo, quanto piuttosto nella lucidità e consapevolezza con cui vengono riconosciuti i tratti più oscuri dell'animo umano prendendo esempio da uno dei capitoli più bui della storia recente.
La regia è volutamente sobria per non rischiare di cadere nella retorica; la volontà di attenersi ai fatti è testimoniata non solo dal fatto che il film è tratto da un libro dello storico tedesco Joachim Fest, ma anche da un'intervista alla stessa Traudl Jung alla fine del film. Una nota documentaria che non nuoce all'estetica del film: quasi una promessa di un tentativo di sincerità, dopo la rappresentazione della dissociazione e della schizofrenia.


Fabia Scali-Warner

 
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