L'estate di Sandro comincia su una barca da sogno e finisce su una carretta dei mari carica di lingue, di etnìe, di miseria. Comincia fra i riti rassicuranti del consumismo, nel silenzio protetto di una famiglia benestante, e prosegue in un crescendo di scoperte e di incontri destabilizzanti, di quelli senza alternative. Capire o morire, crescere o soccombere. E Sandro sarà costretto a crescere. Non sa nemmeno lui quanto.
Chiariamolo subito, il nuovo film di Giordana parla di noi, gli italiani, non di loro, i migranti. Sembra realistico e invece è una fiaba, un racconto iniziatico, un'avventura notturna e crudele irta di simboli rubati alla cronaca. Quando Sandro cade dalla barca del padre, in piena notte, il mare non lo porta in un altro mondo ma semplicemente più in fondo. In fondo a se stesso, se vogliamo. Gli apre gli occhi e li apre anche a noi, spalancando di colpo un'altra prospettiva.
Ora Sandro non è più il figlio unico, coccolato e viziato. E' uno come tanti, in lotta per la vita. Non può nemmeno parlare italiano, i due negrieri un po' grotteschi che guidano la carretta carica di clandestini potrebbero rapirlo. Deve soffrire la fame, la sete, la paura, emozioni antiche finora confinate nell'immaginario. E soprattutto affrontare una serie di misteri che hanno cominciato a manifestarsi già a casa sua, a Brescia.
Cosa c'è dietro quelle facce così diverse, quelle lingue impenetrabili? Che cosa ripeteva l'africano impazzito per strada, pochi giorni prima? E perché la piccola rumena Alina, la coetanea Alina, la dolce Alina, lascia che quel negriero ripugnante le si strusci addosso con la scusa di affidarle il timone? Sandro ha 13 anni, non è stupido né ingenuo. Gli immigrati li conosce, a Brescia ce ne sono tanti, nella fabbrichetta di papà qualcuno è anche suo amico. Ma ora tutto è diverso e quando tornerà a casa le cose cambieranno ancora.
Ora anche i genitori (gli efficacissimi Alessio Boni e Michela Cescon, tutti energia e ingenuità) sanno. Hanno visto il centro di accoglienza, giù in Puglia, gestito con mano ferma da Padre Celso (Andrea Tidona). Intuiscono che il figlio non è più lo stesso, che bisogna fare qualcosa anche per gli altri, magari adottare Alina e suo fratello Radu, così generosi con Sandro, in fondo salvare due vite è già un gesto immenso e invece no, non è vero niente, le cose sono sempre più complicate o più ambigue. Non basta un bel gesto a scaricarsi la coscienza, la pietà è un'arma a doppio taglio, i regali non possono colmare una distanza così immensa.
E l'unico momento di felicità di questo film discontinuo e spiazzante, disteso nella forma ma duro nel fondo, è forse il sorriso dell'africano che svela il titolo, un sorriso che non chiede nulla in cambio, davvero venuto da un altro mondo. Peccato solo che Giordana non abbia calcato ancor più la dimensione "in soggettiva" del racconto, lasciando che lo sguardo del piccolo Sandro (sobrio, toccante Matteo Gadola) coincidesse interamente col nostro.
Fabio Ferzetti
Il Messaggero
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