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Cinema: Kung Fusion

L'approccio al cinema (e probabilmente all'arte in generale) orientale da parte del fruitore occidentale non è facile né semplice: non si può ragionevolmente trascurare la differenza tra le categorie interpretative delle due culture, eppure sarebbe errato ritenere indispensabile una profonda conoscenza dell'Oriente per poter godere della sua produzione artistica.

Va inoltre rilevata una consistente tendenza alla contaminazione tra le due culture; se da un lato tale procedimento può essere oggetto di infinite speculazioni e diatribe critiche, un suo effetto quasi immediato è un allargarsi della fruizione.

In Kung Fusion, divertentissima pellicola di Stephen Chow (giovane regista già giunto alla notorietà in Occidente attraverso il suo precedente lavoro Shaolin Soccer), la contaminazione è evidente ed attiva su più livelli, soprattutto nel campo della citazione cinematografica tratta da esempi illustri della produzione occidentale.

Non è un caso che in Italia la discussione sulla pellicola si sia concentrata soprattutto sul doppiaggio, senza dubbio spregiudicato, effettuato da Marco Marzocca e Caterina Guzzanti. Ritrovare in un'ambientazione cinese voci dialettali italiane può in un primo tempo sembrare fuori luogo; tuttavia la scelta appare, se non obbligata, potentemente dettata dalle esigenze di resa del contrasto tra i dialetti cantonese e mandarino presenti nella versione originale.

Va inoltre sottolineato come la comicità del film dipenda anche in gran parte dalla parte più rigorosamente sonora del dialogo; questo non per sminuire il contributo della fotografia e della recitazione nel suscitare la risata, ma per sottolinare come il doppiaggio rappresenti probabilmente un ponte necessario per la comprensione di una pellicola che risponde comunque in primo luogo ad esigenze strutturali e narrative non occidentali.

Non vi è nulla in Kung Fusion che non sia eccesso, iperbole, o ironia dissacrante; la stessa trattazione dell'amore, che tanto valore assume per la parabola morale del protagonista, non sfugge ad un'intensa pateticità dei toni: nemmeno le eroine dai delicatissimi sentimenti di Stephen Chow si sottraggono a questo estetica dei valori superlativi.

Si ha forse l'impressione che il regista tratti con dei "tipi" più che con dei personaggi definiti nella loro psicologia, riprendendo scelte stilistiche non aliene al passato dell'Occidente (come la commedia nuova greco-latina o la Commedia dell'Arte); che poi dalla nascita del romanzo borghese in poi in Occidente tale tecnica sia caduta sempre più in disuso non ne inficia necessariamente l'efficacia nell'espressione di un contenuto.

Kung Fusion è una commedia, e fa ridere.


Fabia Scali-Warner

 
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