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Libri: La Russia di Putin

Ci sono libri cui è molto difficile dedicare considerazioni di carattere meramente estetico; questo lavoro di Anna Politkovskaja rientra a pieno titolo nella categoria. Ovviamente, la sua natura di saggio di giornalismo politico sottintende di per sé l'intenzione di veicolare un messaggio non squisitamente estetico ma soprattutto pratico; tuttavia, anche volendo giudicare semplicemente il lavoro formale della giornalista, senza addentrarsi troppo sulle sue posizioni e sull'analisi delle sue fonti, il compito di un'analisi serena e spassionata risulta ugualmente difficile.

In primo luogo il fatto che il libro non sia mai stato edito in Russia aggiunge indirettamente informazioni che non compaiono nel libro, ma che de facto confermano le tesi della giornalista. Tuttavia la catena di eventi che circondano questo libro non si ferma qui, purtroppo.
Il 7 Ottobre 2006 Anna Politkovskaja viene uccisa da un killer non identificato, il giorno prima di pubblicare un dossier sulle torture perpetrate in Cecenia dalle forze di sicurezza legate a Kadyrov, secondo le dichiarazioni di Novaya Gazeta, il giornale sul quale la Politkovskaja pubblicava i suoi articoli. I documenti che si trovavano nella sua abitazione vengono sequestrati dalla polizia. In seguito un tale Aleksandr Litvinenko in una conferenza a Londra sostiene che l'omicidio della giornalista è collegato alla pubblicazione del suo ultimo libro, La Russia di Putin. Il 23 Novembre 2006 Litvinenko muore a causa di un massiccio avvelenamento avvenuto tramite sostanze radioattive. Il resto è cronaca.
Anche volendo ammettere una sostanziale estraneità del libro agli eventi che hanno travolto prima l'autrice e poi Litvinenko, adducendo dunque questi omicidi ad altre motivazioni politiche estranee a questa pubblicazione, di fatto intorno a La Russia di Putin riecheggia un coro di morti di cui è pressoché impossibile non tenere conto.
Tuttavia l'autorità di un libro non può certo limitarsi a scaturire da fonti indirette, ovvero in questo caso scaturite da eventi altri rispetto al libro stesso. E qui finalmente è possibile portare avanti un discorso estetico, legato alle qualità intrinseche dell'opera.

Senza mezzi termini, La Russia di Putin è un fulgido esempio di giornalismo contemporaneo, ma non solo. La Politkovskaja sa agire su due livelli; il primo è il piano strettamente giornalistico, l'altro è il piano della rievocazione e ricostruzione degli eventi. Nel primo caso ci troviamo davanti ad una tecnica giornalistica impeccabile; le fonti vengono citate con chiarezza, e se la Politkovkaja giustamente non risparmia le sue opinioni, altrettanto giustamente non evita di porre in atto la distinzione fondamentale tra fatti e commenti personali del giornalista. Altre volte la giornalista si trova invece a non poter citare espressamente i nomi delle sue fonti ed in questo caso la ricostruzione dei fatti non è basata su documenti ufficiali quanto sulla memoria dei protagonisti della storia; tuttavia queste testimonianze (lungi dall'essere a priori inaffidabili in quanto non ufficiali) assumono da un lato l'affidabilità del numero, che le contrappone ai comunicati governativi che spesso appaiono incompleti e contraddittori, dall'altro si caricano di una forza d'urto (o capacità di penetrazione al livello dell'opinione pubblica occidentale) notevole, in quanto le vite umane dei singoli intervistati diventano esemplificazione di un'epoca.
Soprattutto nel raccontare le esperienze dei singoli intervistati, emerge in Anna Politkovskaja una sensibilità che innalza La Russia di Putin al di là del semplice dossier giornalistico e che autorizza ad una valutazione non solo pratica ma anche estetica della sua opera; tra le pagine oltre alla denuncia si scorge un sentimento profondo di compassione e simpatia per quanti rimangono incastrati negli ingranaggi più perversi della storia, ed è questa visione assolutamente non manichea e profondamente umana della realtà che potrà rendere attuale questo libro anche in contesti differenti rispetto al suo ambiente di provenienza.
La Russia di Putin lascia un solo rimpianto, quello della perdita della sua autrice.


Fabia Scali Warner

 
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