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L'omaggio ininterrotto di milioni di fedeli, la partecipazione ai funerali di circa 200 delegazioni di capi di Stato e di governo, Giovanni Paolo II ci ha lasciato così come aveva scelto di vivere: tra l'affetto e la riconoscenza della gente.
Ma oltre il clamore e lo stordimento emotivo di questi giorni risuonano alte e irraggiungibili le parole che il Papa ha affidato al suo testamento.
Ha iniziato a scriverlo il 6 marzo 1979, il suo secondo anno di pontificato. Nel corso degli anni successivi vi ha apportate le modifiche suggerite dagli episodi della sua vita e dai cambiamenti della storia. Ha accennato le meditazioni sulla morte dopo l'attentato subito in Piazza San Pietro del 1981. Ha chiesto perdono a Dio e lo ha ringraziato per il Giubileo e la fine della Guerra fredda. Negli ultimi anni ha esortato la Chiesa a seguire la via tracciata dal Concilio Vaticano II. Ha ripensato alla sua terra e alla sua famiglia, non si è curato dei suoi beni materiali, ha tenuto fermo come esempio in vita e in morte il predecessore Paolo VI. Ha ordinato di bruciare i suoi appunti personali.
In questo documento di profonda riflessione umana e personale e di straordinaria importanza storica il Papa definisce gli obiettivi che ha perseguito per un quarto di secolo: "La salvezza degli uomini, la salvaguardia della famiglia umana, e in essa di tutte le nazioni e dei popoli".
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